Storia

Romulea venne distrutta dal Console romano Decio Mure nel 296 a.C.durante la terza guerra Sanntica (298-290) e tre anni prima della ulteriore sconfitta subita dai Sanniti nella famosa battaglia di Aquilonia del 293 a.C. di cui Tito Livio parla a lungo nel X libro delle sue "Historiae Romanae", quando sul campo ne rimasero uccisi 24340 e 3870 ne furono fatti prigionieri.
 
Finchè Roma restò potente, anche il nostro territorio appartenente ad Essa ne visse la gloria e quando, poi, cadde devastata, anche le nostre terre ne subirono il destino.
 
Con la caduta dell'Impero Romano giunsero le prime invasioni barbariche. I Barbari devastarono la civiltà romana incendiando e uccidendo. Le contrade vennero invase dai Goti attorno al 524 a.D., dai Bizantini nel 555, dai Longobardi nel 591, condotti in Italia da Alboino, che accorparono il nostro territorio sotto il Ducato di Benevento, poi una serie di nomi, che per brevi periodi hanno governato il nostro territorio, la cui storia va approfondita altrimenti restano senza alcun senso. Nel 1122 Carife era governata da Riccardo Guarino, ucciso lo stesso anno durante una rivolta.
 
Negli anni fra il 1140 ed il 1150, era feudo di Riccardo II Guarino de Formari che inviò dal suo territorio alcuni volontari alla spedizione in Terra Santa organizzata da Guglielmo II, detto il Buono, per la conquista di Gerusalemme. A Riccardo II successe Raggiero, quindi Roberto nel 1190 e poi ancora Riccardo Benedetto, tutti della famiglia de Formari; quest'ultimo mantenne in eredità il feudo fino al 1266, anno in cui subentrò la famiglia Angioina col Regno di Carlo d'Angiò. Nel 1267 pare che gli Angioini donarono il territorio ad un Cavaliere giunto dalla Provenza, il de Bruveriis a cui seguirono due anni dopo Ada de Bruveriis nel 1269 e di seguito Giovanni Scotti, Ugo Scotti. Nel 1314 era proprietario un certo Marco Aiossa.
 
Nella prima metà del XIV secolo Roberto d'Angiò regalò il Casale di Carife alla moglie, la Regina Sancha che nel 1343 lo vendette ad un Conte, Raimondo Del Balzo, dei conti di Avellino. Nel 1375 poi, passò per via matrimoniale agli Orsini. A riceverlo fu Nicola Orsini dal quale l'ebbero poi Pietro Macedonio nel 1390, Raimondo Orsini nel 1400 (dei conti di Nola), Giovanni Antonio Del Balzo Orsini nel 1416 e Maria Donata Orsini nel 1454, moglie di Pirro Del Balzo che dopo una congiura venne privato del feudo. Nel 1497 Ferdinando D'Aragona lo affidò a Giovanni Borgia d'Aragona, Duca di Candia.
 
Nel 1507 un certo Ferdinando il Cattolico offrì il paese al capitano spagnolo Consalvo Fernandez de Cordova, al quale nel 1517 successe la figlia Elvira che a sua volta lo cedette a Francesco Como. Nel 1529 il feudo apparteneva alla Famiglia Como con Giovanni Angelo, poi passò nel 1571 a Francesco e nel 1581 a Lucrezia, dalla quale lo ricevette nel 1588 Laudonia Como, moglie di Fabio Capece Galeota, signore di Sorbo Serpico. Quest’ultimo vendette Carife nel 1595 per ventimila ducati ad Ottavio d’Aquino, ma tale vendita a causa dei molteplici creditori del Capece fu annullata dal Gran Consiglio di Napoli, per cui ne divenne marchese nel 1597 Ascanio Como.
 
Passato nel 1602 ad Alfonso Braida, primo conte di Carife dal 1605, il feudo fu nel 1621 acquistato da Giovanni Nicola Buongiovanni, seguito nel 1626 dal marchese di Pietrastornina, Antonio Mirobello, e nel 1631 dal principe di Castellaneta, Cesare Mirobello, che lo alienò a Carlo Vecchione. Costui amministrò il paese fino al 1646, anno dell’acquisizione della signoria da parte di Laura Ciaccio, vedova del beneventano Francesco Capobianco. Alla morte della madre, avvenuta nel 1649, ereditò il sito il figlio Antonio Capobianco, marchese di Carife dal 1667.
 
Alla famiglia Capobianco il paese rimase in possesso sino all’abolizione della feudalità avvenuta nel 1800 attraverso i nobili Domenico (1672), Giuseppe (1684), Saverio Felice (1735), Giovanni I (1788), Raffaele (1800) e Giovanni II Capobianco (1806).
 
Anche ai moti reazionari del 1820 i carifani parteciparono con l’apertura della vendita denominata “L’Amore della Patria”, che aveva per gran maestro il rivoluzionario Tommaso Santoro, condannato poi all’esilio a vita dalla Gran Corte Criminale di Avellino.

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